Italia - Argentina

Diego nell'implacabile morsa degli azzurri
29 giugno 1982, Estadio de Sarriá, Barcelona
Campionato del mondo - seconda fase (gruppo 3)
TabellinoFull match * | SintesiHighlights

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E' la partita dell'inaspettato risveglio per quasi tutti, i giornalisti al seguito e i 50 milioni di commissari tecnici a casa: dopo un penoso girone al fresco galiziano, gli Azzurri affrontano impavidi e determinatissimi i campioni del mondo in carica. E stupiscono il mondo e, chissà, magari anche se stessi.

Alla vigilia Gianni Brera non è critico, ma pessimista. A indispettirlo sono le dichiarazioni di César Luis Menotti, il CT dell'Argentina, che "ormai certo di passare il turno" ha commesso "una marronata sesquipedale nei confronti dell'Italia, da lui spregiosamente considerata in ritardo di almeno cinquant'anni". Questa "sua squisitezza" il Gioann l'ha "letta quasi incredulo di tanta grossezza", e - perfidamente soave - aggiunge: "e subito mi sono ricordato della pappina che Bettega ha messo alle spalle di Fillol" nel 1978. Prosegue: "Che oggi Menotti ci consideri tecnicamente arretrati di cinquant'anni è solamente cafone e dimostra che il tecnico argentino è meno intelligente di quanto si dice (e pensa)". In verità, ritiene Brera, "siamo soltanto poveri: e lo siamo tanto che se io fossi Bearzot sarei ancora più esplicito nell'affidarmi al difensivismo. Siamo poveri di campioni, questo è".

Nel presentare l'aspetto tattico, il Maestro abbozza quel che avverrà, in effetti, l'indomani. "Si sentono molte voci, una delle quali prevede Gentile su Maradona. Tremo per Dieguito e per il nostro prestigio. Gentile è un deterrente paragonabile alla bomba H. I suoi piedoni protervi calano come falci sulla palla e sulle caviglie di coloro che vorrebbero giocarla". Segue rievocazione storica: "Un tempo, Vittorio Pozzo, buonanima, ordinava a Luìs Monti di fargli fuori questo e quell'avversario". E protestatio: "Sono sicuro che l'onest'uomo Bearzot non suggerisce nulla del loro particolare mestiere ai boia naturali: gli basta di affidargli una marcatura e quella si svolge secondo cattiveria di punte e volontà del Signore". Tra i consigli sparsi a Bearzot è anche quello di mettere "Marini od Oriali a tutte pinne su Kempes". L'auspicio è che "Rossi e Graziani cerchino Fillol con la maggior frequenza possibile". Riemerge improvviso il padre Po: "Un mio vecchio cugino vibrava colpi di fiocina alla cieca sotto le rive barbute di radici e si giustificava esclamando: 'Non si sa mai un luccio!' Qualche volta azzeccava. Chissà?".

A segnare sono invece - in due spettacolari contropiedi (come si diceva allora) - Tardelli e Cabrini nelle ripresa.

Celeberrimo l'incipit della cronaca del Maestro che leggemmo il giorno dopo: "Dedico questo spazio al signor Luis Cesar Menotti, che mi fa sempre pensare a un Paganini impinguito da venti e più anni di biancostato. Menotti ha dichiarato ciò che ho già riferito, che gli italiani sono arretrati di almeno cinquant'anni. Io ho preso cappello e avrei voluto dirlo ai nostri prodi, ma sapevo del silenzio stampa e me ne sono fregato dei nostri prodi. Ho atteso la partita e un inquilino mio di me (il solito dei momenti maligni) mi andava sussurrando che una cafonata come quella del signor Luis Cesar avrebbe senz'altro incontrato la sua nemesi. E, chiotto chiotto, mi andavo augurando che la vecchia scuola italiana, ampiamente adottata da Menotti per le partite dure e difficili, insegnasse la modestia agli argentini. I quali si sono degnati di incontrarci come se fossimo stuoie, e alle prime entrate di marcatori ad personam scrollavano la capa come fanno i cavalli quando sono infastiditi dai tafani; poi si sono seccati ed hanno tentato le carognatine che gli sono congeniali, sia perché sono carognoni de sanguine (ci conosciamo, siamo fratelli, o malerbetti), sia perché sono vecchi del mestiere e campioni mondiali per giunta. L'arbitro Rainea, che Dio lo benedica, ha incominciato ad ammonirli: ha considerato rustiche, ma non volutamente maligne le entrate assillanti di Gentile, ha preso in sinistra parte le proteste di Maradona, di Passarella e di quanti altri si credevano a Baires, dunque protetti dagli arbitri come sempre è accaduto e accade a chi organizza il mondiale. Invece eravamo in Spagna".

Il "divo Maradona non riusciva a toccar terra: e poiché è un nano divino ha imparato una volta di più che il calcio ha i suoi assiomi: uno dei quali è il seguente: che tu puoi essere l'iddio della pelota in terra, però se un Gentile non te la lascia toccare, tu sei un iddio che lascia la palla a Gentile".

Nel primo tempo, "l'anima di Leonida aleggiava con tutti gli inni retorici del caso. Il calcio italico, ridotto alla sua essenza paesana, esprimeva paura canina, cioè in certo modo feroce, perché è assodato che i cani mordono quando hanno paura, e sia perdonato l'uomo per essere stato creato dal buon Dio a somiglianza del cane, suo fedele compagno. Ho speculato sulla filosofia podologica per tanti anni che posso anche esimermi adesso da spiegazioni banali o ovvie (ancorché sacrosante sotto l'aspetto tecnico). L'incontrissimo dell'Espanol così va riassunto, a mio modo di pensare: gli argentini ci hanno snobbati attaccando come esigeva il loro rango e la loro natura sbruffona". "Per tutto il primo tempo abbiamo confermato che il difensivismo non ha altra patria più degna della nostra".

I camei dei gol. Il primo: "D'un tratto Tardelli ha avuto l'ispirazione di unirsi a un'avventura in attacco di Graziani, Conti e Antognoni: l'ultima apertura, verso sinistra è stata proprio di Antognoni: Tardelli vi è balzato sopra e lanciandosi in corsa ha confuso Fillol con un diagonale basso che aveva tutte le stigmate della miglior carogneria contropiedistica italiana. Ferocissimi ringhii si sono sentiti allora. Erano dei campeones del mundo en carica". Il secondo: "è capitato a Graziani, l'irriducibile, di conquistare una palla a Galvan e di trovare Rossi ben appostato e dentro il gioco (mica fuori dal medesimo): Rossi mi ha fatto sperare che gli anni non contino molto più di nulla, ma è andato in bocca a Fillol come capita a certi passerini con i rospi giganti e incantatori: la palla è scivolata a sinistra mentre noi sagravamo in tutte le lingue mediterranee: l'ha agguantata Conti e dopo un numero dei suoi, fra cento punte ostili e maligne, ha porto 'ndrio a Cabrini, lombardo della mia riva: il sinistro di Cabrini è stato vibrato a tempo e luogo, con vigore squassante: Fillol si è inchinato per la seconda volta".

A quel punto "hanno luogo selvaggi arrembaggi", ed "io sento il cuore spenzolare come la lingua d'un cane asfittico, una calza sudata, un reggiseno vuoto, una vela in perfida bonaccia". Gli arrembaggi "sono orrendi. L'arbitro ha l'aria di essersi rifugiato nei cieli superni. Gli argentini entrano a far male con tanta intenzione che decido di non trattenermi. E li insulto". Brera esce stremato: "Per favore non parliamo di calcio. Se proprio volete, cercatemi domani. Ah, siamo arretrati? Prendi su questo mezzo secolo e porta a casa. I mezzi secoli pesano tonnellate. E poi, che maledetta noia sarebbe il calcio, se a vincere fossero sempre i migliori".